La sospensione di un trattamento a lungo termine con psicofarmaci presenta rischi importanti sia sul piano clinico sia scientifico. È noto che la mancanza di cure, come anche un’aderenza irregolare alle terapie, può portare a un aumento dei sintomi della malattia e che la sospensione di una regolare

assunzione di farmaci può portare a ricadute o recidive importanti e può persino essere, in alcuni casi, pericolosa per la vita dei pazienti. Tuttavia, non è altrettanto riconosciuto il fatto che l’interruzione di una terapia non sia da equiparare a un’assenza di trattamento di una malattia. La sospensione di un farmaco, cioè, sembra rappresentare una forma di stress che può contribuire a recidive di malattia (talvolta gravi e difficili da curare) che si verificano molto prima di quanto ci si aspetterebbe dal corso naturale della malattia non trattata. Questo tipo di reazione è stata ben dimostrata nelle ricerche che abbiamo condotto, e coinvolge i farmaci antidepressivi, antipsicotici e alcuni stabilizzanti dell’umore. Il rischio è chiaramente molto più alto se il farmaco viene sospeso bruscamente o anche se l’abbassamento delle dosi avviene nell’arco di qualche giorno, rispetto a una riduzione graduale nell’arco di almeno diverse settimane, quando questo è possibile.

Non è esattamente chiaro come avvengono tali reazioni. Tuttavia, sembra che un trattamento a lungo termine con psicofarmaci (ma anche con altri tipi di farmaci) possa indurre cambiamenti o adattamenti del cervello e del corpo agli stati di modificazione dei vari organi o sistemi. Alcuni di questi adattamenti sono stati evidenziati in studi su animali da laboratorio, e possono includere, ad

esempio, cambiamenti nella sensibilità dei sistemi di trasmissione chimici che portano le informazioni tra le cellule nervose nel cervello.

Un’interruzione improvvisa di un farmaco non lascia tempo per riaggiustamenti che riportino il sistema allo stato iniziale ed evidentemente può portare a effetti stressanti che si presentano come

aumento del rischio di ritorno anticipato della malattia da trattare. Questo tipo di reazione non è una manifestazione di dipendenza fisiologica, tipica dell’abuso di alcol o di stupefacenti come l’eroina, e non si presenta come una reazione fisica da sospensione come può verificarsi con tali sostanze oppure in seguito a interruzione improvvisa di alcuni sedativi. Infatti, non vi è alcuna prova che la malattia dopo sospensione di uno psicofarmaco differisca dalla condizione che ha portato al trattamento iniziale.

Non solo tali reazioni a sospensione da farmaci hanno importanti implicazioni cliniche per i pazienti,ma ne hanno altrettanto significative in funzione di una sicura e razionale progettazione e di un’interpretazione delle ricerche finalizzate alla sperimentazione per gli effetti benefici del trattamento a lungo termine con molti tipi di farmaci. Tali studi spesso seguono un disegno che include un trattamento di patologie acute fino al punto di una sua remissione, e quindi una divisione casuale dei pazienti abitualmente in due gruppi: uno che continua e l’altro che interrompe il trattamento (ma continua a prendere un farmaco inattivo, il placebo) che era risultato efficace nella prima fase. Si è tentati di attribuire le differenze nell’evoluzione della malattia che può seguire interamente all’assenza di trattamento, oppure come la ripresa dei sintomi della malattia non trattata. Invece, quando il cambiamento dal farmaco al placebo avviene improvvisamente o rapidamente, sembra che tali conclusioni siano ingiustificate, e che alcune delle differenze si spiegano con lo stress associato alla rimozione del farmaco. Un confronto più giusto sarebbe fra un gruppo in trattamento continuo e un altro in cui la terapia viene rimossa gradualmente o molto lentamente, cosa che produce di solito differenze meno evidenti di quelle che emergono tra un trattamento continuo rispetto a uno interrotto rapidamente.

Il metodo più efficace conosciuto di ridurre di molto o addirittura eliminare tali rischi aggiuntivi in entrambi i trattamenti clinici o negli studi di ricerca è, quindi, quello di abbassare le dosi lentamente nel tempo, in modo da permettere al corpo di adattarsi gradualmente allo stato precedente alle terapie. I tempi precisi richiesti non sono ancora chiari,ma per molti farmaci sembrano necessarie almeno diverse settimane. Esistono anche prove che il tasso di rimozione di molti farmaci dipende da ciò che i farmacologi chiamano“emivita di eliminazione”, cioè il tempo necessario ai processi chimici del corpo per rimuovere la metà della dose del farmaco assunto. Per esempio, interrompere un farmaco con lunga durata d’azione come l’antidepressivo Fluoxetina (Prozac©), anche rapidamente, sembra essere meno rischioso della rimozione di altri antidepressivi a più breve durata d’azione, come la Paroxetina (Paxil©). Allo stesso modo sospendere farmaci antipsicotici a lunga durata d’azione, abitualmente iniettabili, è molto meno rischioso nel corso del tempo che sospendere improvvisamente molti farmaci antipsicotici per bocca a breve durata d’azione.

L’aspetto pratico di queste osservazioni è che la sospensione di molti tipi di trattamenti in corso con farmaci usati in psichiatria o in medicina generale non è né semplice né sicuro. L’interruzione improvvisa o rapida può notevolmente aumentare il rischio di ricadute o recidive precoci della malattia, che spesso comportano gravi episodi non sempre facili da trattare nuovamente. In alcuni

casi, un ritorno precoce di una malattia grave può essere associata alla necessità di ricovero o può aumentare il rischio di comportamenti suicidari. Inoltre, la ricerca che comporta la sospensione di un trattamento può esagerare il beneficio apparente di una terapia in corso e rendere difficile l’elaborazione di valutazioni eque sull’effetto del trattamento. Questi problemi sono ulteriormente complicati dalla decisione dei pazienti di interrompere o sospendere il trattamento, spesso senza consultare un medico e talvolta, purtroppo, da un giorno all’altro. Tali decisioni possono essere comprensibili dato che la sospensione di molti trattamenti comporta un sollievo temporaneo da possibili e spiacevoli effetti collaterali. Tuttavia, i rischi, anche se non immediati, possono essere importanti e pericolosi.

Ross J. Baldessarini,MD

Leonardo Tondo,MD,MS

Harvard Medical School

Centro Lucio Bini, Cagliari-Roma

Molti articoli hanno dimostrato che la sospensione di trattamenti psicofarmacologici può portare a una ripresa del disturbo, oppure a nuove ricadute. Il fenomeno è stato studiato e dimostrato dal nostro gruppo di ricerca per i farmaci antidepressivi, per quelli antipsicotici e per i sali di litio nel disturbo bipolare dell’umore. Il risultato di maggiore interesse pratico è che una sospensione rapida di qualsiasi farmaco assunto per periodi relativamente lunghi può portare a una ricaduta più precoce rispetto a una diminuzione graduale fino all’interruzione del trattamento. Alcuni articoli che trattano il tema sono elencati qui sotto:

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