Psicofarmaci: pro e contro

Gli psicofarmaci, agendo con una certa specificità sui meccanismi e sulle strutture del Sistema Nervoso Centrale, avrebbero lo scopo di ricondurre i livelli di funzionamento psichico alle condizioni preesistenti allo scompenso. Va però aggiunto che evidenze scientifiche e cliniche sostengono ormai da tempo l’importanza di integrare l’uso di psicofarmaci alla psicoterapia in molte patologie che investono la sfera cognitiva, emotiva e comportamentale.

Nonostante siano in uso da tempo, gli psicofarmaci continuano a essere, ingiustamente, molto mal considerati. La pratica clinica ci mette spessissimo di fronte alle posizioni tanto estremistiche e divergenti che molte persone nutrono nei loro confronti. C’è chi li considera dei toccasana da utilizzare non solo nei trattamenti psichiatrici, ma anche per anestetizzare emozioni e sentimenti o risolvere ogni malanno psicosomatico. C’è anche chi guarda ad essi con paura e pregiudizi tanto solidi quanto difficili da superare, come la convinzione che il male psichico si possa risolvere facendo appello alle capacità di reazione o alla volontà. Una posizione che fa vedere i disturbi mentali non come malattie ma come fallimenti personali. Un’altra convinzione tanto frequente quanto sbagliata è che gli psicofarmaci modifichino, artificialmente e in modo permanente, comportamenti, pensieri ed emozioni, con una conseguente limitazione della libertà di essere ed esprimersi nel mondo. Infine, spesso si sente parlare del timore che l’assunzione conduca inevitabilmente alla dipendenza e possa causare pericolosi effetti collaterali, magari permanenti.I disturbi di interesse psichiatrico sono prima di tutto delle patologie, con diversa gravità, sintomatologia, decorso e prognosi. Negare alle sofferenze psichiche la dignità di patologie non è molto diverso dal considerare l’ipertensione o il diabete come malesseri che si possono correggere soltanto con la dieta, l’attività fisica o la capacità di rilassarsi.

Gli psicofarmaci esplicano un’azione terapeutica alquanto selettiva nei confronti dell’ansia, della depressione, dell’eccitazione maniacali e delle malattie con sintomi psicotici (deliri o allucinazioni). Ciò che fanno questi farmaci, consiste nel ristabilire un equilibrio nel funzionamento di alcuni neurotrasmettitori, soprattutto la noradrenalina, la serotonina e la dopamina.

Il loro effetto non induce modificazioni stabili della personalità la dipendenza può comparire solo dopo una lunga assunzione, magari a dosi molto elevate e, senza il diretto controllo dello specialista. Si diventa dipendenti soprattutto da benzodiazepine (ansiolitici) perché vengono usate per lungo tempo e fuori da un controllo medico e per una loro caratteristica psicofarmacologica che impedisce una rapida sospensione.

Nessuno psicofarmaco (ma è vero per tutti i farmaci) è totalmente esente da effetti collaterali, a cominciare dai comuni antidolorifici, da banco, per passare agli antibiotici e terminare con i farmaci cardioattivi: hanno tutti un costo in termini di effetti non voluti che va soppesato con il beneficio che inducono. Considerazioni attente su questi effetti possono portare a trovare un farmaco simile che ne provochi in misura minore.

Classificazione degli psicofarmaci

I principali psicofarmaci utilizzati nella pratica clinica possono essere raggruppati nelle categorie seguenti:

1. Antipsicotici

2. Antidepressivi

3. Stabilizzanti dell’umore

4. Ansiolitici e ipnoinducenti.

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